La bonifica nella legislazione nazionale

La realtà giuridico-istituzionale in cui si colloca oggi l'attività della bonifica è in larga misura diversa rispetto a quella in cui essa ebbe origine e si sviluppò.

Alla più recente formulazione della nozione di bonifica - intesa come attività volta non solo al perseguimento dei tradizionali obiettivi di valorizzazione del territorio, ma anche al perseguimento della più ampia finalità di difesa del suolo e di tutela delle risorse idriche e dell'ambiente - si è infatti pervenuti attraverso un graduale processo alla modificazione e ad un progressivo ampliamento del nucleo originario del comprensorio e dell'attività dell'Ente; processo questo connesso anche alla industrializzazione e urbanizzazione del territorio, nonché alle problematiche di scarsità e di inquinamento delle acque.

Volendo delineare rapidamente un quadro di estrema sintesi di tale evoluzione, quale emerge dalla legislazione di settore, dobbiamo innanzitutto ricordare la prima legge generale in materia di bonifica (Legge 25 giugno 1882, n. 869), emanata allo scopo di sconfiggere il paludismo e quindi circoscritta ad una concezione della bonifica esclusivamente idraulica ed igienica; nel corso degli anni, tale concezione si è evoluta (basti pensare alle numerose disposizioni di seguito emanate, segnatamente ai testi unici del 22 marzo 1900, n. 195 e 30 dicembre 1923, n. 3256, che finalizzarono gli interventi ad un più generale riassetto idraulico del territorio, estendendo le opere eseguibili ai fini del bonificamento e ricomprendendovi, in particolare, le opere irrigue, nonché al R.D.L. 18 maggio 1924, n. 753 che estese la bonifica ad ogni territorio che si trovasse, per qualsiasi causa, anche non idraulica, in condizioni arretrate di produzione e di vita rurale fino a giungere alla nozione di "bonifica integrale" introdotta dal R.D. 13 febbraio 1933 n. 215).

Con tale normativa, organica e profondamente innovativa rispetto alle disposizioni precedentemente emanate in materia, vengono disciplinati e coordinati gli interventi pubblici e privati tesi alla trasformazione od al miglioramento del comprensorio delimitato di bonifica, per il fine primario della produzione dei suoli, ma anche (e per la prima volta) di buon regime delle acque, difesa del suolo e protezione della natura.

Senza soffermarci sulle numerose disposizioni modificative ed integrative del regio decreto del 1933 intervenute fino ad oggi - in gran parte relative al finanziamento di programmi pluriennali - preme sottolineare come esse non contengono mutamenti, almeno fino all'attuazione dell'ordinamento regionale, al sistema delineato con il R.D. 215 e come pertanto il disegno sotteso e i principi fondamentali posti dallo stesso restino sostanzialmente immutati.

Con l'attribuzione alle Regioni delle competenze in materia di bonifica si accentua il processo di mutamento, iniziato sul finire degli anni Sessanta, che vede dilatato il ruolo della bonifica da finalità settoriali (difesa e valorizzazione del suolo agricolo) a finalità di interesse pubblico generale (difesa del territorio, a qualunque uso adibito, e delle sue risorse).

Il trasferimento operato con i decreti delegati del 1972 aveva dato luogo, come è noto, ad una frammentazione di competenza fra Stato e Regioni che contraddiceva ad ogni esigenza di organicità degli interventi.

Dando per note le limitazioni della competenza regionale in materia, superate con l'emanazione del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ci si limita a ricordare come dal 1977 le Regioni risultino titolari delle funzioni concernenti non solo la bonifica integrale e montana, ma anche di quelle riguardanti la difesa, l'assetto e l'utilizzazione del suolo, la protezione della natura, la tutela dell'ambiente, la salvaguardia e l'uso delle risorse idriche.

Le Regioni, pertanto, assumono un ruolo di governo complessivo sui processi di difesa e trasformazione del territorio e delle sue risorse. Pertanto, il contesto in cui è inserito il trasferimento delle funzioni in materia di bonifica è venuto necessariamente ad incidere sulla qualità e l'esercizio delle funzioni medesime, caricandole di una nuova significatività.

Parallelamente all'evolversi della nozione di bonifica, sono andati modificandosi ed arricchendosi le finalità ed i compiti della stessa e quindi l'attività svolta dai Consorzi, con una diretta ripercussione sui diversi benefici arrecati dall'attività medesima i quali, costituendo la condizione che legittima l'imposizione contributiva consortile, assumono particolare rilievo nella redazione del Piano di Classifica.

Dall'esame della legislazione statale e regionale, ma anche dallo stesso statuto consortile, emerge una rideterminazione delle finalità della bonifica nel più ampio concetto della difesa del suolo e dell'ambiente e della tutela ed utilizzazione delle risorse idriche, con conseguente ridefinizione quantitativa delle funzioni affidate ai Consorzi, nonché una diversa caratterizzazione qualitativa, dovuta principalmente al mutato contesto territoriale (unità idrografica) e funzionale (piani di bacino, piano paesistico, vincoli ambientali, ecc.).

Se nel 1933 e sostanzialmente fino agli anni Settanta, i compiti attribuiti alla bonifica avevano per oggetto principale la progettazione, l'esecuzione e la manutenzione di opere e di interventi pubblici di varia natura, il coordinamento di questi con quelli da effettuarsi a carico dei privati ed il controllo sulla loro effettiva realizzazione, la vigilanza sulle opere e sul territorio comprensoriale, nonché l'assistenza a favore dei consorziati, si può affermare che l'azione assegnata alla bonifica, pur avendo una rilevante incidenza sull'assetto complessivo del territorio e sulla sua infrastrutturazione, fosse sostanzialmente tesa alla conservazione ed alla valorizzazione del suolo a scopi produttivi.

Con l'espandersi dell'uso urbano, industriale ed infrastrutturale del territorio e con la conseguente trasformazione avvenuta anche nell'ambito agricolo, gli equilibri raggiunti, in particolare circa il contenimento dei fenomeni fisici naturali e nelle destinazioni d'uso del territorio extraurbano, iniziano ad incrinarsi. Infatti, il superamento della distinzione fra territorio urbano e territorio rurale e la crescente interdipendenza fra i due, nonché la moltiplicazione degli effetti negativi dello sviluppo industriale (inquinamento, degrado ambientale, ecc.) conducono, da un lato, all'abbandono di alcuni interventi tradizionali della bonifica riconducibili all'attività agricolo-forestale e, dall'altro, al progressivo intensificarsi di interventi finalizzati alla salvaguardia di interessi generalizzati sul territorio, a qualunque uso destinato.

Con l'emanazione della Legge 183/1989 vengono introdotte novità di rilievo al quadro sopra descritto. Ci si riferisce in particolare al ruolo assegnato ai Consorzi quali soggetti realizzatori delle finalità della legge sia sul piano programmatorio sia su quello attuativo degli interventi. I Consorzi vengono infatti configurati come una delle istituzioni principali per la realizzazione degli scopi della difesa del suolo, del risanamento delle acque, di fruizione e gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, di tutela degli interessi ambientali ad essi connessi.

Non di meno, l'impostazione prevalentemente idraulico-naturale tipica della difesa del suolo, così come la sua forte connotazione in chiave di difesa passiva che sembra ricavarsi dalla separata individuazione delle tipologie di intervento indicate dall'articolo 3 della Legge 183/1989, nonché dalla disciplina sul contenuto dei Piani di Bacino, sembrano marginalizzare la concezione di conservazione dinamica del suolo su cui si fonda la bonifica e la coordinata finalizzazione di una pluralità di interventi volti a modificare i precari equilibri naturali sulla quale la medesima si è sviluppata. La bonifica cioè sembrerebbe, in tale contesto normativo, compresa nel suo ruolo di azione complessiva (integralità).

Peraltro, in assenza della normativa regionale di attuazione della 183, non è possibile valutare l'effettiva portata del coinvolgimento dei Consorzi e del ruolo operativo che ad essi sarà assegnato.

Diamo da ultimo conto dell'approvazione della Legge 5 gennaio 1994, n. 36 (c.d. Legge Galli) che riforma la disciplina delle risorse idriche.

Senza soffermarci su aspetti quali la totale pubblicizzazione del patrimonio idrico, il venir meno della piena ed incondizionata disponibilità delle acque esistenti sul fondo agricolo o i limiti imposti al proprietario del fondo sull'utilizzazione di tali acque, utilizzazione che rimane comunque condizionata all'adozione di un provvedimento da parte della Pubblica Amministrazione, interessa sottolineare il ribadito essenziale ruolo svolto dai Consorzi di Bonifica.

Infatti la legge quadro sulle risorse idriche, nel confermare le primarie funzioni dei Consorzi nella gestione delle acque ad usi prevalentemente irrigui, affida ai medesimi funzioni in materia di usi plurimi, con riguardo sia alla realizzazione e gestione di impianti per l'utilizzazione delle acque reflue in agricoltura, sia alla possibile utilizzazione delle medesime per altri usi (approvvigionamento di impianti industriali, produzione di energia elettrica, ecc.) all'unica condizione che l'acqua torni indenne all'agricoltura.

Si può quindi conclusivamente affermare che i Consorzi si trovano oggi ad operare in una realtà giuridico istituzionale profondamente diversa rispetto a quella del passato essendo la bonifica configurata, sia nella legislazione statale che in quella regionale, come uno strumento ordinario di gestione del territorio; ciò si traduce, sul piano operativo, nella necessità di indirizzare la propria attività oltre che alla realizzazione degli interventi di sicurezza idraulica del territorio e dell'irrigazione, verso finalità complessive di protezione dello spazio rurale, di salvaguardia del paesaggio e dell'ecosistema agrario, di tutela della quantità e qualità delle acque.

LEGGI ANCHE:
La bonifica nella legislazione regionale e Il potere impositivo